La storia della tradizione sartoriale napoletana si intreccia a stretto filo con quella della tradizione della lavorazione dei tessuti, ed in particolare della seta.
Già al tempo di Papa Leone III, è descritta l’abile manifattura tessile napoletana durante il periodo del ducato bizantino. In quel periodo nacque la prestigiosa tradizione della seta, che toccherà il massimo dello splendore nelle fabbriche borboniche di San Leucio di Caserta, circa un millennio dopo.
I tessitori napoletani medioevali erano conosciuti e lo saranno per molto tempo, per l’abilità con la quale lavoravano il lino; la loro fama fu così importante da spingere i coltissimi Arabi a definire la città “Napoli del lino” .
Durante il periodo aragonese, la ricchezza culturale si espresse anche nella cura estrema per il particolare detto “minore”: la maestria e la curatezza nel rifinire le parti non evidenti, rivela una professionalità rigorosa in un popolo come quello campano noto per la sua sregolatezza di vita certamente non o priva di approssimazione, e per la sua inclinazione ad improvvisare la realtà di tutti i giorni
Le stoffe che dovevano essere utilizzate nella moda sia maschile che femminile, venivano lavorate sovrapponendo vari motivi che sembravano dei veri e propri bassorilievi, impegnando in un lavoro certosino i tessitori, sarti, e ricamatori.
Con Carlo di Spagna nel 1735, terminò il lungo viceregno napoletano, concludendo il periodo rinascimentale ed avviando il felice barocco che verrà esaltato nel Settecento con il giusto titolo di “civiltà barocca napoletana”.
In questi anni, l’artigianato tessile si rinnova sia come gusto, che come qualità del prodotto che raggiunge nuove finezze. Infatti la Campania diventa la città del damasco, del taffettà e della tela d’oro , la cui difficile e preziosa lavorazione occupa artigiani di ristrette comunità familiari che operano a Napoli , in piccoli laboratori nella zona degli “Armieri”.
Nella stessa unità di abitativa si ritrovano spesso la cosiddetta “casa e puteca” al piano basso la numerosa famiglia si industria, ed al piano superiore vive ; ciò diede inizio ad un costume artigianale che si tramanderà, in qualche caso, nei quartieri più popolari, fino ai nostri giorni.
Nel tempo il territorio di Caserta sostituisce quello napoletano come polo serico del mezzogiorno: venne
istituita da Ferdinando IV di Borbone intorno al XVIII secolo la colonia dei setaiuoli , nel piccolo borgo di San Leucio. Il Re accarezzava il sogno di una città industriale, e quello fu il luogo scelto per attuare il progetto di utopia reale.
Questo progetto fu avviato con la costruzione della Reggia di Caserta, e questo luogo venne a trovarsi al centro di una delle più straordinarie iniziative del settecento campano.
Infatti , Ferdinando IV volle realizzare una colonia, dotata di un proprio statuto, dedita al lavoro all’interno di una grande manifattura, quella della seta, ospitata in una grande città, mettendo le basi per la costituzione di un vero e proprio modello industriale, e cercò di darle l’autonomia economica, creando una seteria e una fabbrica di tessuti.
Volle darle una struttura urbanistica organica e simmetrica. La fabbrica, che s’ingrandì e produsse una gamma ricchissima di tessuti, non riuscì mai a prosperare dal punto di vista economico, in quanto il lucro non era il suo fine.
Infatti era un’industria di Stato, ma al sevizio della collettività, e quindi molto lontana dal concetto di industria dei nostri tempi.
Il sovrano la regolò con un codice misto di socia-lismo reale e utopico; era il 1789: a San Leucio si istituiva la perfezione, mentre a Parigi ribolliva la rivoluzione.
Tre erano i cardini intorno cui ruotava la Costituzione di San Leucio: l’educazione che veniva considerata l’origine della pubblica tranquillità; la buona fede considerata era la prima delle virtù sociali; e il merito unica vera distinzione tra gli individui.
Tutto ruotava intorno alla fabbrica. Una seteria meccanica, sostenuta dal re “con mezzi potentissimi”, che sfruttava la materia prima generata dai bachi allevati nelle case del Casertano e oltre.
Dai primi filatoi e dai telai fino alla costruzione di una grande filanda. Tutto inizia dal baco da seta, la cui larva nasce dalle uova schiuse in primavera, compie tre o quattro mute e quindi ‘fila’ il bozzolo, dove subisce la metamorfosi che la trasforma prima in crisalide e poi in farfalla.
Il filo prodotto dal baco può essere lungo anche centinaia di metri, e diventa rigido grazie alla sericina. La ‘trattura’ cioè la fase in cui, dopo aver dipanato il filo dal bozzolo e averlo ammorbidito immergendolo nell’acqua calda, lo si tira sino a formare delle matasse , dà inizio alla vera e propria produzione della seta. Con la fase della tessitura si realizzava il vero e proprio tessuto utilizzando telai a mano.
Il tessuto ottenuto subiva poi una serie di operazioni di rifinitura come, per esempio, la “marezzatura”, cioè la compressione sotto grandi cilindri, cui facevano seguito l’apprettatura, la cimatura e la piegatura.
Una ricca gamma di rasi, broccati, e velluti venivano prodotti sia per l’abbigliamento che come parati.
Con l’introduzione della tessitura Jacquard, che altro non era che un telaio importato dalla Francia, neii primi decenni dell’Ottocento, la produzione si arricchisce di stoffe broccate di seta, d’oro e d’argento, scialli, fazzoletti, corpetti, merletti. Si sviluppano anche dei prodotti locali, i gros de Naples e un tessuto per abbigliamento chiamato Leuceide
La gamma dei colori, tutti naturali, era molto ricca ed i nomi i cui nomi cercavano di distinguere le sfumature più sottili: palombina, orecchio d’orso , pappagallo, noce peruviana, verde salice, verde di Prussia, fumo di Londra, Siviglia, acqua del Nilo.
L’unico periodo felice della “reale manifattura” fu quello iniziale; infatti le fasi successive, nonostante l’introduzione di numerose innovazioni tecniche come il telaio Jacquard e la macchina del lisage , non riuscirono a portare in attivo la manifattura borbonica.
L’utopia di San Leucio finì quando nel 1861, il Regno fu annesso al Piemonte a seguito della invasione sabauda: il setificio fu dato ai privati, e lo statuto divenne carta straccia.
La manifattura è sopravvissuta al Regno delle Due Sicilie e alla dominazione sabauda e, pur con caratteristiche molto diverse, continua oggi a mantenere in vita una tradizione lontana e preziosa, che si è diffusa nel mondo.
Le stoffe dell’Antico opificio tappezzano tuttoggi, la Camera dei Deputati, il Senato italiano e la Casa Bianca. Della stessa azienda erano anche i paramenti utilizzati dal papa Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo.