Bruno Perchiazzi si definisce “uno spettatore alla nascita” del Presepe, dal suo racconto emergono ricordi d’infanzia sul padre intento a sciogliere la famigerata “colla di pesce”, a immergere giornali nella colla da modellare successivamente, a dipingere quelle forme per dare conclusivo compimento ad una piccola opera d’arte da “interno napoletano”. Quei gesti, quelle modalità, diventano nel tempo veri e propri “modelli” di riferimento che Bruno fa propri per dare vita, negli anni successivi, alle sue produzioni presepiali, scenografie ed accessori, tutte realizzate nel pieno rispetto delle tradizione presepistica napoletana sia per quanto attiene i materiali utilizzati che le tecniche realizzative.
Il procedimento costruttivo adottato da Bruno Perchiazzi ha carattere di “scientificità”, e persegue il fine ultimo di garantire “lunga vita” alle sue produzioni preservandone bellezza e qualità: “il Presepe per me è un’Opera. Non può in alcun modo essere considerato un’oggetto usa e getta”.
La fase progettuale è di fondamentale importanza per Bruno, perché è in quella che va elaborando le caratteristiche che daranno poi elevato livello qualitativo a quanto andrà successivamente e materialmente a realizzare: “io progetto, disegno, posso fare anche 100 schizzi per un presepe, perché il presepe “non è vero” ma “è verosimile”. Io devo prestare massima attenzione alle prospettive, alle profondità: io utilizzo fortemente la prospettiva accelerata, perché in pochi centimetri, chi osserva deve avere l’idea di star salendo una scalinata di 60 metri. Così come devo rispettare i canoni di proporzione fra il corpo umano e una porta. Quindi nel mio lavoro io ho una fase molto lunga di “progettazione”, una successiva fase, abbastanza lunga, di “modellazione” dove realizzo un presepe in scala 1:10 di quello che poi sarà il presepe finale, ed è qui che posso eventualmente rimodulare i “volumi” dei vari ambienti, fatto ciò parto quindi per l’ultima fase quella “realizzativa”.
L’approccio “scientifico” di Bruno Perchiazzi si fa anche strumento di “narrazione storica” che ci rievoca, per il tramite delle architetture ricostruite nelle sue scenografie, anche la “possibile storia” architettonica e culturale che è dietro quello specifico manufatto: “io devo sempre far nascere l’idea, in chi osserva una mia scenografia, che quella specifica costruzione è un esempio di “architettura spontanea”, chi guarda deve immaginare un contadino che ha costruito una stanza per sé, sua moglie il maiale e i figli; la generazione successiva aggiunge poi l’altra stanza per farci vivere la nonna … e così in 3-4 generazioni si è venuta a costruire quella sorta di Masseria che sono andato a ricostruire nel mio Presepe. Tutto ciò io lo pianifico progettualmente, ma la bravura dello scenografo presepiale è quella di non far capire a chi osservache vi è un “progetto” dietro, altrimenti il rischio è che tutto assume la forma di un “plastico”.
Molti dei Presepi realizzati da Bruno sono oggi conservati ed esposti in diverse città europee, in Germania, in Francia, in Irlanda (n.d.a. se visitando il Castello di Dublino vi doveste imbattere in una splendida scenografia presepiale napoletana, sappiate che quella è opera di Bruno Perchiazzi), e rappresentano di fatto i più bei riconoscimenti alla sua passione, al suo impegno, alla sua capacità artigiana: Presepi “partiti” per delle Mostre organizzate in quelle città e mai più rientrati, perché appunto “trattenuti” in loco per la loro valenza, per il loro essere a tutti gli effetti degli “Oggetti d’Arte”.
Il procedimento costruttivo adottato da Bruno Perchiazzi ha carattere di “scientificità”, e persegue il fine ultimo di garantire “lunga vita” alle sue produzioni preservandone bellezza e qualità: “il Presepe per me è un’Opera. Non può in alcun modo essere considerato un’oggetto usa e getta”.
La fase progettuale è di fondamentale importanza per Bruno, perché è in quella che va elaborando le caratteristiche che daranno poi elevato livello qualitativo a quanto andrà successivamente e materialmente a realizzare: “io progetto, disegno, posso fare anche 100 schizzi per un presepe, perché il presepe “non è vero” ma “è verosimile”. Io devo prestare massima attenzione alle prospettive, alle profondità: io utilizzo fortemente la prospettiva accelerata, perché in pochi centimetri, chi osserva deve avere l’idea di star salendo una scalinata di 60 metri. Così come devo rispettare i canoni di proporzione fra il corpo umano e una porta. Quindi nel mio lavoro io ho una fase molto lunga di “progettazione”, una successiva fase, abbastanza lunga, di “modellazione” dove realizzo un presepe in scala 1:10 di quello che poi sarà il presepe finale, ed è qui che posso eventualmente rimodulare i “volumi” dei vari ambienti, fatto ciò parto quindi per l’ultima fase quella “realizzativa”.
L’approccio “scientifico” di Bruno Perchiazzi si fa anche strumento di “narrazione storica” che ci rievoca, per il tramite delle architetture ricostruite nelle sue scenografie, anche la “possibile storia” architettonica e culturale che è dietro quello specifico manufatto: “io devo sempre far nascere l’idea, in chi osserva una mia scenografia, che quella specifica costruzione è un esempio di “architettura spontanea”, chi guarda deve immaginare un contadino che ha costruito una stanza per sé, sua moglie il maiale e i figli; la generazione successiva aggiunge poi l’altra stanza per farci vivere la nonna … e così in 3-4 generazioni si è venuta a costruire quella sorta di Masseria che sono andato a ricostruire nel mio Presepe. Tutto ciò io lo pianifico progettualmente, ma la bravura dello scenografo presepiale è quella di non far capire a chi osservache vi è un “progetto” dietro, altrimenti il rischio è che tutto assume la forma di un “plastico”.
Molti dei Presepi realizzati da Bruno sono oggi conservati ed esposti in diverse città europee, in Germania, in Francia, in Irlanda (n.d.a. se visitando il Castello di Dublino vi doveste imbattere in una splendida scenografia presepiale napoletana, sappiate che quella è opera di Bruno Perchiazzi), e rappresentano di fatto i più bei riconoscimenti alla sua passione, al suo impegno, alla sua capacità artigiana: Presepi “partiti” per delle Mostre organizzate in quelle città e mai più rientrati, perché appunto “trattenuti” in loco per la loro valenza, per il loro essere a tutti gli effetti degli “Oggetti d’Arte”.